Margaret Atwood | Il racconto dell’ancella

Un pugno allo stomaco. Questo è stato per me Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, un romanzo che ho letteralmente divorato ma che mi ha lasciato addosso un certo disagio. Ecco perché ho deciso di mettere a terra i miei pensieri a caldo in un post.

Era da tempo che volevo leggerlo, per poi guardare anche la serie su Amazon Prime. La mia curiosità era tanta, anche perché è difficile che io legga dei romanzi distopici. E dopo la lettura di classici o mattoni impegnativi come la trilogia di Hilary Mantel avevo bisogno di un taglio netto.

Salto subito alle conclusioni. E’ un libro bello? Si. Mi è piaciuto? Ni.
Vi spiego perché, e per farlo mi avvalgo dell’aiuto più lucido del capitolo che Maura Gancitano e Andrea Colamedici dedicano proprio al testo della Atwood nel loro “Liberati della brava bambina: otto storie per fiorire”.

Il tema del libro

Il racconto dell’ancella è un libro sulla libertà di azione, la quale viene negata alla protagonista Difred dal regime totalitario nel quale suo malgrado si trova a vivere. E si trova a vivere il regime nella peggiore della condizione per una donna: come una ancella, una schiava in sostanza.

Privata della sua libertà, della dignità, dell’umanità. Privata di un futuro e prigioniera di un Comandante che rende lei, e le ancelle come lei, soltanto delle macchine per procreare, durante una Cerimonia che avviene una volta al mese. Nel caso in cui queste donne non dovessero raggiungere il loro scopo vengono relegate ai lavori forzati all’interno delle Colonie, messe ai margini della società, se tale si può definire un regime del genere.

Una società che vede passare la realizzazione di una donna esclusivamente dall’essere madre è perversa tanto quanto quella che reputa la realizzazione di una donna legata esclusivamente al successo lavorativo. Ogni donna è diversa e ha il diritto di trovare la propria felicità nel modo che reputa più opportuno, se questo non danneggia chi le è vicino. Quando l’energia vitale non si esprime creativamente, si trasforma in emozioni e azioni negative, che danneggiano se stessi e tutti gli altri. Nella società distopica di Gilead, quindi, tutti sono destinati a diventare pessime persone e a compiere le peggiori nefandezze, perché nessuno può davvero essere libero.

Ma come si è arrivati a questo? Non con un unico atto di forza, ma sovvertendo le regole a poco a poco, un passo alla volta, rendendo gli umani, e le donne in particolare, delle rane bollite, come ci ha insegnato il principio di Noam Chomsky.

Niente cambia all’istante, in una vasca che si scalda di colpo finiremmo bolliti vivi.

E così la donna, il suo corpo, diventa niente di più che un oggetto. Vive in condizioni disumane, privata di qualsiasi appiglio che possa far rifiorire il lei un pensiero, un sentimento, un desiderio. In questa condizione si crea un buco nero interiore nel quale molte donne prima di lei sono cadute, uccidendosi. Ma viene privata alla donna anche questa possibilità, liberando le camerate delle Ancelle da tutto quello che possa permettere solo di togliersi la vita, di fare una scelta.

Figurarsi parlare di parità uomo-donna. L’uomo è dominante, comandante, la sua virilità, o presunta tale, portata all’esasperazione. “Come se il maschio bastasse a se stesso, mentre la donna no”, come si afferma in “Liberati della brava bambina”. E Le donne sono oggetti che devono acconsentire a qualsiasi loro volere, sia legale che “illegale”. Sì perché a Gilead esistono delle regole estremamente rigide, che vengono però violate dagli stessi che le hanno imposte, perché alla fine “la libertà personale è un bisogno così forte che prima o poi verrà fuori, violando ogni regola.”

Conclusioni

L’ammonimento finale della di Margaret Atwood e del suo Il racconto dell’ancella è “non fatevi mai usare”.

Rispettate, prendetevi o riprendetevi la vostra libertà, mi sentirei di aggiungere.

Il suo corpo non è solo qualcosa che ha. È libertà. Non è una merce di scambio, è qualcosa di profondamente suo di cui può disporre come vuole. Una donna può desiderare di avere molti partner, un’altra di averne uno solo, un’altra ancora di non averne, ma in ogni caso c’è una differenza abissale tra queste scelte e la costrizione. La libertà non può essere barattata con nulla al mondo.

Tornando alla mia considerazione iniziale, questo libro è bello perché denso di concetti, di significati profondi. Un inno alla forza delle donne e un monito al rispetto della dignità e della libertà personale delle donne.

Mi è piaciuto ma con riserva. Più che altro mi ha scosso, mi sono immedesimata nella protagonista parola dopo parola, e ho provato forte disagio, un senso di oppressione, un macigno sul petto che sento anche ora che ne scrivo sul blog.

Bisogna arrivare preparate a questa lettura, affrontarla con un certo distacco, perchè le emozioni che si provano sono davvero forti. Ma direi che vale la pena provarle.

Vorrei leggere il seguito, anzi il prequel “I testamenti”, ma leggo pareri discordanti e preferisco aspettare prima di immergermi di nuovo in una storia altrettanto cupa.

Voi avete letto Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood? Cosa ne pensate? Vi aspetto come sempre nei commenti.

A presto.

Gabriella


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About the author
Digital marketer, cantante, makeup addicted e blogger. Vivo a Milano ma ho il mare del Cilento nel DNA.

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